Watson e Skinner: l’ingegneria della manipolazione e le cavie bambino
Verso l'utopia di Walden Two (Prima parte)
Noi non usiamo la forza. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un’adeguata ingegneria comportamentale.
(Skinner, 1948)
Nella prima metà del Novecento, la psicologia comportamentista non solo ha definito un’intera corrente teorica, ma ha modellato l’educazione e la nostra idea di linguaggio. Da John B. Watson, cacciato dall’università e accolto a braccia aperte da Madison Avenue, a B. F. Skinner, che trasformò la parola in comportamento osservabile, la storia del comportamentismo è anche la storia di un’idea di essere umano come “entità programmabile” e controllabile.
Burrhus Frederic Skinner (1904-1990) è lo psicologo forse più influente nell’ambito del Comportamentismo (behaviorismo o psicologia comportamentale). Il padre del Comportamentismo, invece, è quel John Broadus Watson (1878-1958) che, nel 1920, viene allontanato dall’Università Johns Hopkins di Baltimora a causa (ma non solo) della sua relazione adulterina con la collaboratrice Rosalie Rayner (1898-1935), relazione che né il rettore della Johns Hopkins né la moglie Mary Ickes Watson (1883-1971)1 gli perdonano.2 Watson abbandona la moglie e sposa la sua collaboratrice, con la quale va a vivere a New York e con il cui aiuto dimostra la validità delle sue teorie sulla psicologia del comportamento, usando come cavia un bambino di nome Albert, per attuare su un essere umano ciò che il fisiologo russo Ivan Pavlov (1849-1936) aveva fatto con i cani. Tuttavia, Albert non è un cane, è un bambino di pochi mesi, il che non ferma Watson dal sottoporlo a stress emotivi e ambientali, come i suoni agghiaccianti usati per terrorizzarlo e studiarne le reazioni al fine di manipolarle.3
Albert la cavia… e tutti gli altri
Il piccolo Albert non è l’unico a essere osservato dalla coppia. In Studies in Infant Psychology (1928), i due riassumono il lavoro svolto su oltre cinquecento bambini in diverse fasi di sviluppo, nel quale, tra le altre cose, specificano con una certa insistenza che i genitori dovrebbero educare non con i sentimenti e le emozioni (incontrollabili), bensì con un uso ragionato degli stimoli ambientali. Del resto, Rayner e Watson allevano anche i loro due figli, William (1921) e James (1924), secondo i principi comportamentisti, il che impone la soppressione di ogni manifestazione di affetto. Così ai piccoli viene negata qualunque espressione affettiva o emotiva: baci, carezze, coccole. Rayner, in particolare, non si relaziona con loro come madre, evitando così che si instauri un legame di attaccamento.4 Le linee guida per questo tipo di educazione trovano ampia diffusione per lungo tempo grazie a Psychological Care of Infant and Child (1928), testo poi soppiantato dal ben noto Baby and Child Care (1946) del pediatra Benjamin Spock (1903-1998), che va in direzione opposta, guadagnandosi addirittura accuse di permissivismo, ma ottenendo, nondimeno, un riscontro planetario.

Skinner dopo Watson
Escluso dal mondo accademico per la relazione con l’assistente, e probabilmente anche per gli strani esperimenti con cavie umane, Watson ripiega sul marketing con grande successo, applicando i principi del comportamentismo alle campagne pubblicitarie: osservazione dei consumatori, risposta emotiva agli stimoli visivi e sonori, ripetizione (come nei celebri spot per la Palmolive, in cui introduce l’attrazione sessuale come motore di vendita).5 Skinner sviluppa le sue teorie sul comportamento umano sull’onda degli esperimenti di Watson e, come è noto, lavora alla sua analisi del comportamento verbale dal 1934 al 1957, anno in cui pubblica Verbal Behavior. Il volume rappresenta il punto di arrivo del suo percorso teorico, ma esistono documenti che permettono di individuare le fasi intermedie della sua elaborazione.
La progressione
Negli anni Trenta e Quaranta, Skinner tiene diversi corsi su linguaggio, letteratura e comportamento alla Clark University e all’Università del Minnesota, redigendo appunti febbrili che diventano la base per un nuovo corso sul comportamento verbale, che egli tiene nell’estate del 1947 alla Columbia University. Ralph Hefferline (1910–1974), professore di psicologia alla Columbia e futuro sostenitore della psicologia comportamentista, assiste alle lezioni e, attraverso i suoi meticolosi appunti, è possibile ricostruire le prime posizioni di Skinner sull’argomento; posizioni che, nel giro di poco, cambiano, diventando più complesse, raffinate e radicali. Già nell’autunno di quello stesso anno, lo psicologo tiene le più sofisticate William James Lectures.6
I documenti mai pubblicati
Il testo noto come manoscritto delle William James Lectures (poi demolito da Chomsky, nel 1959) non è mai stato pubblicato ufficialmente, ma è importante perché fornisce un’esposizione alternativa di alcuni punti non trattati nei testi ufficiali di Skinner, che afferma:
“La nostra sottomissione alla tirannia delle parole rimarrà sospettosamente masochista finché non sarà bilanciata da un impulso aggressivo verso l’azione.”
Il linguaggio, per Skinner, può essere compreso solo se reso attivo, cioè analizzato attraverso le sue conseguenze e la gestione concreta che è possibile esercitare sulle parole, quindi, non è solo uno strumento per comprendere i modelli di comportamento, ma può – e deve – crearne di nuovi. Può essere programmato, e programmare il linguaggio significa programmare la mente, al fine di modificare le risposte comportamentali. Il linguaggio, in questa prospettiva, diventa il prodotto raffinato di una sorta di disciplina del corpo:
“Le risposte verbali in questi esempi sono i prodotti di casi particolari di rinforzo. […] Noi non piangiamo perché siamo tristi o ci sentiamo tristi perché piangiamo; noi piangiamo e ci sentiamo tristi perché è accaduto qualcosa (per esempio qualcuno che amavamo è morto). […] I fatti che sono realmente responsabili di ciò che facciamo (e quindi di ciò che sentiamo) si trovano in un passato probabilmente lontano.”
Parliamo di condizioni ambientali esistenti o che è possibile creare (con dei rinforzi positivi o negativi) per fare in modo che i soggetti abbiano determinate reazioni7. Creare circostanze aversive intorno al soggetto può indurre, secondo Skinner (che qui si rifà esplicitamente a Freud e Pavlov), stati di ansia, paura, perfino terrore, ma precisa:
“Quanto possiamo saperne di ciò che una persona sta provando, e in quale maniera ciò che essa prova può essere modificato? […] Le sensazioni si possono cambiare nel modo più facile cambiando le condizioni responsabili di ciò che viene sentito.”
Tale cambiamento, però, non deve essere immediato, bensì opportunamente dosato, secondo una logica sperimentale e progressiva. Questa matrice comportamentista skinneriana si inserisce nel contesto dell’accettazione generalizzata, e spesso acritica, che il comportamentismo riceve nella prima metà del Novecento. Ma, lungi dall’essere poi dimenticati, i paradigmi di Skinner (come quelli di Watson) si innestano, come vedremo, in numerose correnti filosofico-linguistiche successive.
Continua…
Bibliografia
Burrhus F. Skinner, Difesa del comportamentismo. Saggi recenti su istruzione e personalità, Armando Editore, 2006, pp. 12.13.
Skinner, Walden Two Revisited, 1976.
J. B. Watson, Psychologist as the Behaviorist Views It, Psychological Review, 20, 1913.
Skinner, B.F. (1986). Walden due. Utopia per una nuova società, Firenze – La Nuova Italia (ed. or. 1948, I edizione; 1976, II edizione).
Dick, P.K., La svastica sul sole, Fanucci, 2017.
Umberto Zona, Fabio Bocci, La rete come una skinner box. Neocomportamentismo, bolle sociali e post-verità, Media Education – Studi, ricerche, buone pratiche, Vol. 9, n. 1, anno 2018, pp. 57-77.
B. F. Skinner, Verbal Behavior, William James Lectures, Harvard University, 1948.
Pedro Alexis Tabensky, What’s Wrong with Walden Two?, Rhodes University, Department of Philosophy, 2020.
Burrhus Frederik Skinner in psicologi e psicoterapeuti, pdf digitale, consultato a giugno 2021.
Watson, J. B. & Rayner, R. (1920). Conditioned emotional reactions. Journal of Experimental Psychology, 3, 1-14.
Watson, J. B. & Watson, R. R. (1921). Studies in infant psychology. The Scientific Monthly, 13(6), 493-515.
Watson, J. B. & Watson, R. R. (1928). Psychological Care of Infant and Child. New York: Norton.
Watson, R. R. (1930). I am the mother of a behaviorist’s sons. Parent’s Magazine & Better Family Living, 5(12), 16-18, 67-68.
Boakes, R. (1984). From Darwin to behaviourism: Psychology and the minds of animals. New York: Cambridge University Press.
Buckley, K.W. (1989). Mechanical man: John Broadus Watson and the beginnings of behaviorism. New York: Guilford Press.
Sorella di Harold L. Ickes, Segretario degli Interni degli Stati Uniti sotto Franklin D. Roosevelt.
Watson è considerato il fondatore del behaviorismo moderno grazie al famoso articolo del 1913 Psychology as the Behaviorist Views It.
L’identità del bambino noto come “Albert” è ancora oggi oggetto di dibattito. La teoria più accreditata sostiene che si trattasse di Douglas Merritte, figlio di una balia dell’ospedale in cui Watson conduceva l’esperimento, ma questa identificazione non è mai stata confermata in modo definitivo.
A partire dagli anni ’50, lo psicoanalista britannico John Bowlby, seguito dalla psicologa Mary Ainsworth, sviluppa la teoria dell’attaccamento, secondo cui il legame affettivo tra il bambino e la figura di accudimento (caregiver) è alla base dello sviluppo psicologico sano, in particolare, una relazione sicura e stabile favorisce la fiducia, la regolazione emotiva e le competenze sociali. L’approccio di Watson e Rayner, fondato sul rigido controllo comportamentale e sull’assenza di manifestazioni affettive, è oggi considerato in netto contrasto con queste evidenze, e la teoria dell’attaccamento è diventata centrale non solo in psicologia, ma anche in pedagogia, assistenza all’infanzia e psicoterapia.
Watson fu tra i primi a usare emozioni (paura, desiderio, status) nella pubblicità, invece di semplici descrizioni del prodotto. La campagna per il sapone Palmolive, per esempio, non si limitava a dire che il sapone lavava bene, ma lo associava alla bellezza femminile e all’attrattiva sessuale, con messaggi come: “Le donne che usano Palmolive hanno la pelle che gli uomini amano accarezzare.”
Le lezioni non furono pubblicate ufficialmente all’epoca, ma circolarono tra studenti e colleghi in forma dattiloscritta, diventando una sorta di testo “ombra” nella comunità accademica. Nel 1959, appena due anni dopo l’uscita del libro, il linguista Noam Chomsky pubblica una celebre recensione demolitrice, in cui accusa Skinner di riduzionismo e di ignorare la creatività e la struttura interna del linguaggio umano. Quella critica segna l’inizio del declino dell’approccio comportamentista nello studio della mente e l’ascesa della cosiddetta “rivoluzione cognitivista”, che darà forma alla linguistica moderna e alle scienze cognitive.
Skinner, 2006, pp. 12-13.
sempre molto interessante
grazie!